In ricordo di Bruno Pesaola

Nel 2017 Tuttonovara ricorda, nell'anniversario della nascita, i calciatori, gli allenatori, i dirigenti e i membri dello staff del Novara Calcio che ora sono nell'Azzurro del cielo (al 25.07.2017)
28.07.2017 13:30 di  Roberto Krengli  Twitter:    vedi letture
Fonte: it.wikipedia.org-enciclopediadelcalcio.it
Bruno Pesaola
Bruno Pesaola
© foto di it.wikipedia.org

Il 28 luglio 1925 nacque a Buenos Aires, capitale e maggiore città dell'Argentina, Bruno Pesaola, che morì il 29 maggio 2015 a Napoli, capoluogo della omonima città metropolitana e della regione Campania, all'età di 89 anni.

Alto 1,65 per 74 kg., calciatore argentino naturalizzato italiano, giocò a calcio come attaccante dal 1939 al 1962. Fu poi allenatore di calcio (dal 1962 al 1985). 

Tuttonovara gli rivolge un caro ricordo.

 

Nota

«Giornalista: Lei ci ha preso in giro, lei è venuto a Bergamo pensando che siamo stupidi, spieghi perché allora il Bologna ha giocato in difesa, al contrario di quello che lei aveva detto ! - Pesaola: E se vede che l'Atalanta ci ha rubato la idea».
(Intervista dopo la partita Atalanta-Bologna)

Bruno Pesaola legò il suo nome soprattutto alla storia del Napoli, del quale fu a lungo giocatore e poi allenatore.

« Legendary Former Napoli And Fiorentina Coach Passes Away » - « Scompare leggendario ex allenatore del Napoli e della Fiorentina »   (dai titoli dei "coccodrilli", inglese e italiano)

Era soprannominato petisso (piccoletto).

 

Cenni biografici

« Sei il calcio che mi hanno raccontato, quello di mio padre che io ascoltavo incantato. Parlava di uomini e maglie e di epiche battaglie. Ti ritroverò ogni mattino nei miei sogni da bambino. Addio Petisso »

(Striscione esposto al San Paolo in Curva B nel minuto di raccoglimento in sua memoria)

Pesaola era figlio di un calzolaio marchigiano, Gaetano (che lasciò Montelupone, in provincia di Macerata, nei primi anni venti), e di Inocencia Lema, entrambi emigrati in Argentina. Orfano di padre da giovanissimo, arrivò in Italia grazie all'interessamento di un parente italiano, con l'intento di rimanervi pochi anni.

Durante la sua carriera di allenatore era celebre il fatto che fumasse molte sigarette durante ogni partita e indossasse un cappotto di cammello portafortuna. Alla sua figura di allenatore si è ispirato il regista Paolo Sorrentino per il personaggio del "Molosso", interpretato da Nello Mascia nel film "L'uomo in più". Il figlio, Diego Roberto, è noto con il nome d'arte di Zap Mangusta.

Terminata la carriera da allenatore si stabilì a Napoli, nel quartiere Vomero, città a cui rimase tanto legato da definirsi "un napoletano nato all'estero", divenendo opinionista per diverse trasmissioni televisive locali e nazionali; a riprova del profondo legame con la città, il 20 novembre 2009 la giunta comunale partenopea gli conferì la cittadinanza onoraria.

Morì il 29 maggio 2015, all'età di ottantanove anni, all'ospedale "Fatebenefratelli" di Napoli per un collasso cardiocircolatorio.

È stato ricordato con un minuto di silenzio sui campi di Napoli e di Firenze.

 

Caratteristiche tecniche

«Astuto come un argentino e ironico come un napoletano, non fece fatica a diventare l'alternativa calcistica e dialettica del Sud allo strapotere milanese di Rocco al Milan ed Herrera all'Inter». (Sandro Sabatini)

Da giocatore, Carlo Felice Chiesa definì Bruno Pesaola «geniale nel pennellare cross millimetrici» e sottolineò la bravura nel dribbling e la precisione nel tiro.

In seguito, da allenatore, si dimostrò eccelso nell'interpretazione delle gare, che affrontava con grande sagacia tattica, confessando che in alcune partite, mentre con le mani faceva visibilmente segno alla squadra di avanzare, a voce ordinava di retrocedere. Bruscolotti lo ricorda come un grande motivatore, abile nel trovare modi per stimolare i giocatori, Pecci per l'ambiente rilassato che creava anche nelle situazioni più difficili della stagione.

 

Carriera

Giocatore

Club

Brubo Pesaola iniziò la carriera calcistica nella squadra juniores del Dock Sud, a Buenos Aires.

Passò  nel 1939, a 14 anni, alle Giovanili del River Plate allenate da Renato Cesarini, giocando con le riserve insieme ad Alfredo di Stéfano, avendo la strada sbarrata dalla concorrenza di Loustau.

Giocò poi nell'Almagro e dal 1944 al 1946 nel Dock Sud, arrivando con quella società a giocare in prima squadra, all'epoca all'ultimo posto del campionato cadetto argentino.

Arrivato con il più quotato all'epoca Osvaldo Perretti, Pesaola si trasferì alla Roma nella Serie A italiana nell'agosto 1947, facendosi apprezzare per la sua velocità in campo e l'aggressività. Tarchiato, piccolo di statura, quadricipiti da culturista, colpì immediatamente l'immaginario collettivo giallorosso, tanto da guadagnarsi il soprannome di "Pagnottella". Si rivelò subito un ottimo affare, contrariamente alle abitudini giallorosse di quegli anni. In un primo momento, la cosa che colpiva di lui erano i clamorosi baffi che sfoggiava, che infatti scomparirono subito, tagliati durante il sonno dai compagni. Poi, però, tutti capirono che la classe c'era. Ala dalle movenze tipicamente sudamericane, il suo gioco si dipanava sempre per vie tortuose e soluzioni arzigogolate. Le sue finte mortifere e il dribbling irrefrenabile, erano però garanzia che quando prendeva la palla, qualcosa di lì a poco doveva succedere. risolvendo il problema persistente della squadra dell'epoca, la mancanza di una buona ala sinistra in squadra. Concluse la sua prima stagione in Italia con 11 reti, tra cui una doppietta al Napoli (il 21 dicembre 1947, nella vittoria in trasferta della Roma per 2-1) ed una tripletta al Genoa (il 4 gennaio 1948 nella vittoria in trasferta della Roma per 4-2, mentre nella seconda annata andò a segno 8 volte. Divenne in quegli anni, con la popolarità conquistata in campo, amico degli attori e recitò con Walter Chiari in 'L'inafferrabile 12' e Carlo Dapporto in 'L'inafferrabile 13'. Anche a causa della frattura di tibia e perone, subita durante una partita contro il Palermo del 26 febbraio 1950 e provocata dall'avversario Gimona per reazione ad un presunto torto inflitto al compagno Gino Giaroli mentre l'azione di gioco era da tutt'altra parte, Pesaola fu costretto a fine stagione a lasciare Roma; Gimona, che poté contare sul perdono di Pesaola, fu dapprima squalificato a vita, poi la pena fu ridotta a due anni ed infine ulteriormente abbassata ad undici mesi; altre fonti riportano un'ulteriore diminuzione della pena a 6 mesi in seguito al perdono. Nelle prime due stagioni romane, era andato tutto bene: giocatore dalla grande continuità e capace di assicurare anche un discreto gruzzolo di reti, diventò un punto fermo di una squadra che purtroppo già mostrava quei problemi che di lì a poco la trascineranno irrimediabilmente in Serie B. L'unico problema di Pesaola era la tendenza a tenere la palla e a cercare di fare giochetti che innervosivano gli avversari, con la conseguenza che presto diventò il bersaglio di una vera caccia all'uomo, tanto che Bernardini, sul Correre dello Sport, gli consigliò di mutare gioco se non voleva finire presto la carriera. Terminò infatti la stagione colpito nuovamente da un grave infortunio di gioco; il 9 aprile 1950 durante la gara contro l'Atalanta si ruppe il perone in occasione di uno scontro con Gariboldi; l'infortunio fu così grave che pensò lui stesso di essere arrivato alla fine della carriera.

Alla terza annata, infatti, ci si mette un incidente di gioco a complicare le cose: la dirigenza, ritenendolo finito, lo spedisce a Novara, ove invece il Petisso dimostra di essere integro.

Passò quindi in prestito, sempre in Serie A, al Novara di Monzeglio con cui disputò due stagioni giocando con Silvio Piola, che l'aveva convinto a non tornare in Argentina: il suo trasferimento fu risolto quando Piero Omodei, avvocato e dirigente della squadra piemontese saldò il pagamento delle spese alberghiere della compagine laziale. Debuttò con i piemontesi nella gara contro il Torino del 5 novembre 1950 dove realizzò il terzo gol del Novara nella vittoria interna per 3-2 pur dovendo affrontare la marcatura anche fallosa di Grava; disputò due stagioni in Serie A, segnando un gol alla Juventus, il 29 aprile 1951 nella vittoria interna per 3-1, prima vittoria dei novaresi contro i bianconeri dopo undici anni e (l'anno dopo) ottenendo con la squadra un ottavo posto nel campionato 1951-1952, piazzamento mai più raggiunto o migliorato dai piemontesi a cui contribuì segnando 8 reti. A Novara quindi il Petisso dimostrò di essere ancora assolutamente integro.

Non potendo però per regolamento rientrare alla Roma, retrocessa in Serie B, fu subito ingaggiato per 33 milioni (con 6 milioni per lui) dal Napoli, dietro suggerimento della moglie Ornella, che era stata eletta Miss Novara in quegli anni, divenendo quindi un beniamino della tifoseria e uno dei giocatori simbolo della città partenopea, in cui soggiornò come calciatore per otto anni. Arrivò in Campania per far coppia con l'altro neoacquisto Jeppson, ritrovando come allenatore Monzeglio e mettendosi in luce già nelle amichevoli internazionali estive: con Jeppson, anche in campionato, formò una coppia di attaccanti efficace, capace di portare il primo anno ad avere il terzo migliore attacco del campionato: siglò nel primo anno 7 reti, tra cui il primo dei tre gol con cui il 18 gennaio 1953 gli azzurri sconfissero la Juventus (che alla fine della stagione si classificò al secondo posto perdendo lo scudetto per due punti) in casa per 3-2 mentre i partenopei conclusero la stagione quarti in classifica a sei punti dalla squadra campione d'Italia. Dopo una stagione 1953-1954 in flessione (Napoli quinto alla fine del campionato a 13 punti di distanza dai campioni d'Italia e con il sesto miglior attacco) ed un'altra stagione, il 1954-1955, in ulteriore flessione (Napoli sesto a dieci punti dai campioni d'Italia con l'ottavo miglior attacco), nel 1955-1956 sorsero problemi tra la squadra e l'allenatore Monzeglio, dovuti alle carenze in difesa che annullavano gli effetti di un gioco della squadra spettacolare. In questi anni Pesaola cambiò ruolo per la presenza di giovani e affermati campioni in squadra, pur mantenendosi importante negli equilibri di gioco degli azzurri, passando da ala a regista offensivo e all'occorrenza punta: realizzò una doppietta al Milan di Schiaffino e Buffon il 7 ottobre 1956, in trasferta a Milano. Monzeglio venne quindi sostituito da Amadei e con la nuova dirigenza arrivò nella stagione 1957-1958 il quarto posto finale, con la squadra che a fine campionato fu il secondo miglior attacco della Serie A dopo la Juventus campione d'Italia. In questa stagione un suo gol all'Inter, del 5 gennaio 1958, in cui dopo aver rubato il pallone a Fongaro batté il portiere Matteucci, fu particolarmente apprezzato, fece parte della sigla alla Domenica Sportiva per vari anni. Successivamente il 2 febbraio 1958 la sua rete portò alla vittoria per 1-0 contro il Milan nella gara casalinga e a fine campionato Pesaola fu tra i protagonisti di una vittoria in casa contro la Juventus per 4-3 con la squadra che in quei giorni lottava ancora per la conquista dello scudetto. Fu poi tra i protagonisti della vittoria casalinga del 6 dicembre 1959, nella gara che segnò l'inaugurazione dello Stadio San Paolo, quando i partenopei vinsero, sotto gli occhi di Umberto (allora presidente della FIGC) e Gianni Agnelli, sulla Juventus di Giampiero Boniperti, Omar Sívori e John Charles per 2-1 in una gara in cui, secondo il Corriere dello Sport, pur giocando fuori ruolo per un incidente di gioco capitato al compagno di squadra Luís Vinício, riuscì a creare pericoli alle retrovie della squadra piemontese; del Napoli fu anche capitano dal 1953 al 1960, totalizzando 240 presenze con 27 gol.

Nell'estate del 1960 lasciò Napoli su pressione dell'allenatore in carica dei partenopei Amadei, a cui era legato da profonda e nota inimicizia, per passare per una stagione in Serie B con il Genoa. Aiutò la squadra ligure a salvarsi dalla retrocessione: giocò 20 gare segnando 5 reti, di cui due nella gara contro il Foggia, nel girone di ritorno.

Pesaola passò quindi in Serie D alla Scafatese come giocatore-allenatore.

Nazionale

Bruno Pesaola esordì nella Nazionale B l'11 dicembre 1953 a Istanbul nella gara Italia B-Turchia 1-0, la prima di 6 partite con questa selezione: nell'occasione fornì a Galli il passaggio con cui quest'ultimo realizzò il gol della vittoria. Giocò anche la gara dell'11 aprile 1954, un pareggio casalingo per 0-0 contro la nazionale B della Francia, e la gara di Coppa del Mediterraneo Italia-Turchia (1-1, disputata il 26 giugno 1955).

Disputò anche come oriundo una gara nella Nazionale maggiore, debuttando a Lisbona il 26 maggio 1957 in Portogallo-Italia (3-0), in una gara condizionata dagli infortuni di Alcides Ghiggia e Giuseppe Chiappella quando il risultato era ancora sull'1-0 ed il cui risultato si fece pesante solo negli ultimi minuti di gioco.

Allenatore

La prima panchina di Bruno Pesaola fu quella della Scafatese in Serie D, in qualità di giocatore-allenatore, nel campionato 1961-1962.

Il 31 gennaio 1962, con il Napoli che rischiava di retrocedere dalla Serie B, subentrò a Fioravante Baldi su suggerimento dell'allora neodirigente Fiore, dando al Napoli la promozione in Serie A e la prima Coppa Italia nonché primo trofeo vinto dai partenopei nella loro storia, consentendo ad una squadra militante in Serie B di vincere il trofeo per la prima volta. L'anno successivo si vide affiancare sulla panchina del Napoli da Eraldo Monzeglio, questa volta come Direttore Tecnico per la mancanza dell'abilitazione necessaria a Pesaola; la coabitazione non fu comunque positiva per divergenze di idee che non riuscirono ad appianare.

Lascia quindi Napoli e rimase quindi parzialmente inattivo nella stagione 1963-1964: in quell'annata scese infatti tra i dilettanti per allenare brevemente nella Prima Categoria Campana il Savoia: lasciò dopo quattro mesi, con la squadra impegnata negli spareggi per salire di categoria (che poi effettivamente raggiunse).

Tornò quindi ad allenare il Napoli e nella stagione 1964-1965 riportò la squadra in Serie A valorizzando quel Juliano che diventerà storico capitano della squadra, e convinse Sivori a passare al Napoli. Conquistò inoltre il primo trofeo europeo (la Coppa delle Alpi nel 1966, dopo aver stimolato con un trucco l'aggressività di Omar Sívori) e la portò al secondo posto nel 1968, risultato mai raggiunto prima dalla squadra campana riuscendo a far convivere in squadra due giocatori affermati come Altafini e Sivori. L'anno successivo, per via di contestazioni che coinvolsero anche la sua famiglia, tuttavia Pesaola lasciò il club campano.

Passò quindi alla Fiorentina, pur rimanendo legato emotivamente alla società partenopea. Durante la permanenza in Toscana rischiò infatti una pesante squalifica per aver preso un impegno con il presidente del Napoli Ferlaino: dopo aver promesso di passare all'Inter, si accordò per tornare al Napoli pur essendo tesserato con la Fiorentina, ma cambiò idea dopo aver visto che gli acquisti che aveva richiesto non erano stati effettuati; fu graziato da Artemio Franchi, dirigente vicino alla squadra viola, che lo fece così rimanere a Firenze. La dirigenza gli chiese di andare avanti con una squadra giovane, a parte il campione Amarildo (peraltro in rotta con la società e che con lui tornerà a giocare a buon livello), che l'anno precedente era stata tra le prime in classifica. Come allenatore in Toscana conquistò uno scudetto alla guida della Fiorentina nel 1968-1969: nel girone di ritorno la viola superò la Lanerossi e andò in testa e da quel momento i gigliati non persero un colpo, riuscendo a tenere distanziate Cagliari e Milan. L'11 maggio, espugnando il campo della Juventus a Torino per 2-0[72], la Fiorentina si laureò per la seconda volta nella sua storia Campione d'Italia, grazie anche ad una difesa che concesse pochi gol, come nel campionato 1955-56 (18, seconda migliore difesa di quella stagione); i viola persero una sola partita, quella contro il Bologna, registrando un'inedita imbattibilità in trasferta. Da campione d'Italia, Pesaola riportò la Fiorentina in Coppa Campioni dopo essere stata, nel 1957, il primo club italiano a disputare una finale. Sul fronte nazionale invece, i viola iniziarono bene il campionato prima di essere sorpassati dal Cagliari di Gigi Riva che si aggiudicò poi il titolo: la Fiorentina arrivò al quarto posto ex aequo con il Milan. Bruno portò la squadra in finale della Coppa delle Alpi, persa contro il Basilea, ai quarti di finale di Coppa Italia e della Coppa dei Campioni. Venne esonerato alla terza stagione, dopo un campionato tribolato per una serie di infortuni (tra cui quelli Merlo, Superchi, Galdiolo e Vitali) che portarono i toscani nella parte bassa della classifica. Come allenatore della squadra di Firenze, nel 1970 gli fu assegnato il premio Seminatore d'Oro; nel 2013 è entrato nella Hall of Fame Viola. «Il “Petisso” [..] è stato uno degli allenatori più importanti della storia della Società Viola, avendo guidato con il suo straordinario carisma la squadra che ottenne lo Scudetto [..] Il ricordo di Pesaola resterà per sempre nei cuori di tutti coloro che amano la Fiorentina.»   (ACF Fiorentina, 29 maggio 2015)

Accasatosi al Bologna, che all'epoca schierava ex nazionali come Bulgarelli e Savoldi, cominciò la sua prima stagione stentando; la classica dopo la quarta giornata del girone d'andata vide i felsinei fanalino di coda, ma poi la presenza di Savoldi si fece sentire, tanto che concluse l'annata vincendo la classifica dei cannonieri con 17 reti che aiutarono la compagine a raggiungere il settimo posto nella classifica finale. In quella stagione il Petisso portò in prima squadra il futuro nazionale Eraldo Pecci. La stagione successiva, che vide il debutto in Serie A della futura bandiera e allenatore Franco Colomba nonché l'addio alla Serie A di un fedelissimo quale Perani, la squadra si mantenne sempre a metà classifica e si comportò ancor meglio in Coppa Italia, cucendosi al petto quella che rimane l'ultima coccarda tricolore conquistata dai bolognesi. Al termine dell'annata 1974-1975, in cui i rossoblù raggiunsero il settimo posto in Serie A e i sedicesimi di finale della Coppa delle Coppe, Savoldi venne ceduto per una cifra considerata scandalosamente alta, onde ripianare i debiti della società. Pur privata dell'apporto di un bomber tanto prolifico, la formazione di Pesaola ottenne un altro settimo posto nel campionato del 1975-1976. «È stato un pezzo indimenticabile della storia del nostro club [..], ha firmato il trionfo in Coppa Italia del maggio 1974 [..], il Bologna si stringe al dolore della famiglia e ricorda il Petisso e i suoi modi d'altri tempi, con una lacrima di nostalgia.» (Bologna Football Club 1909, 29 maggio 2015)

Pesaola tornò a Napoli iniziando la stagione 1976-77 con la vittoria della Coppa di Lega Italo-Inglese, ottenuta grazie ad una vittoria in rimonta sul Southampton detentore della FA Cup. Il Napoli continuò ad avanzare in Coppa delle Coppe giungendo sino alle semifinali contro l'Anderlecht dove, dopo aver vinto la gara d'andata per 1-0, subì al ritorno una sconfitta per 2-0 (con la direzione di gara dell'arbitro Matthewson contestata dalla squadra) che precluderà l'accesso in finale. La stagione si concluse con la squadra a metà classifica e Pesaola lasciò la Società.

A cavallo degli anni settanta e ottanta, dapprima fu di nuovo a Bologna dal 1977 al 1979. 

Allenò poi per una stagione gli ellenici del Panathinaïkos con cui sfiorò la conquista del titolo greco.

Tornò infine in Italia accasandosi al Siracusa, in Serie C1 nel 1980-81.

Nel 1982-1983 fece un ultimo ritorno al Napoli; la squadra si salvò in maniera stentata dopo l'esonero di Giacomini in favore di Pesaola con al fianco Gennaro Rambone. Pesaola puntò su una squadra votata alla difesa del risultato. Nel corso di quella stagione resta famosa l'immagine di Pesaola che abbraccia il rosario prima di un rigore decisivo calciato da Moreno Ferrario. Conquistò un 10º posto in Serie A, i Quarti di finale di Coppa Italia e i Sedicesimi di finale di Coppa UEFA.

Allenò infine in C1 il Campania Ponticelli, come ultima squadra, nel 1984-1985.

Eccelso nell'interpretazione delle gare, che affrontava con grande sagacia tattica, confessò che in alcune partite, mentre con le mani faceva visibilmente segno alla squadra di avanzare, a voce ordinava di retrocedere.

Dopo il ritiro

Terminata la carriera da allenatore, diventò opinionista per diverse trasmissioni televisive locali e nazionali.

 

Ecco in sintesi la carriera di Bruno Pesaola. Nell'ordine sono indicate la/e stagione/i, la squadra di club (con → sono segnati gli eventuali prestiti), il numero di presenze in campionato e, tra parentesi, il numero di gol segnati:

Giocatore

Giovanili

1939-44 - River Plate

Squadre di club

1944-46 - Sportivo Dock Sud - ? (?)
1947-50 - Roma - 90 (20)
1950-52 - Novara - 64 (15)
1952-60 - Napoli - 240 (27)
1960-61 - Genoa - 20 (5)
1961-62 - Scafatese - ? (?)

Nazionale

1953 - Italia B - 1 (0)
1957 - Italia - 1 (0)

Allenatore

1961-62 - Scafatese
1962-63 - Napoli
1963-64 - Savoia
1964-68 - Napoli
1968-71 - Fiorentina
1972-76 - Bologna
1976-77 - Napoli
1977-79 - Bologna
1979-80 - Panathīnaïkos
1980-81 - Siracusa
1982-83 - Napoli
1984-85 - Campania

 

Palmarès

Allenatore

Competizioni nazionali

Campionato italiano: 1   (Fiorentina: 1968-1969)

Coppa Italia: 2   (Napoli: 1961-1962, Bologna: 1973-1974)

Competizioni internazionali

Coppa delle Alpi: 1   (Napoli: 1966)

Coppa di Lega Italo-Inglese: 1   (Napoli: 1976)

Individuale

Seminatore d'oro: 1   (1969-1970)